Blade Runner 2049 – Denis Villeneuve – la recensione

Premessa doverosa e molto lunga, come lo sarà altrettanto questa recensione dell’opera diretta da Denis Villeneuve.
Quando mi sono recata nelle sale per godermi lo spettacolo di questo film, non mi aspettavo di certo che fosse una copia del primo.
E non sarò tra quelli che faranno la recensione paragonandola costantemente con il primo film. Quando avevo sentito parlare del progetto ero scettica e avevo paura. Ma tanto la scelta del regista, Denis Villeneuve che ha al suo attivo un’altra opera di fantascienza particolare come Arrival, tanto scelta della storia e dello svolgimento che si era visto in questi giorni mi avevano portato ad essere sempre più fiduciosa.
Da qui avviso che ci saranno spoiler tanto sulla storia in sé che sul film. Continuate se avete visto tutto.

Avevo già raccontato alcune cose in questo articolo, Blade Runner – l’attesa sempre per Over There, ma allora mancava l’ultimo tassello che permetteva di comprendere cosa era accaduto tra il primo film e questo. Il blackout.  Raccontato dalla penna di Shichiniro Watanabe, autore tra l’altro di Cowboy Bebop in un cortometraggio animato, di cui faccio un breve sunto. Tyrell sempre più alla ricerca del compimento del suo motto “più umano dell’umano”, dopo che gli ultimi replicanti di vecchia generazione sono scaduti e non più in vita, ha immesso la versione Nexus 8 che sono cresciuti in un ambiente più naturale possibile. Sono distinguibili dagli esseri umani solo per un codice impresso nell’occhio sinistro. Ovviamente sono sorti dei movimenti di suprematismo umano che hanno portato alla cattura e all’eliminazione dei replicanti attraverso i registri della TyrellCo.
I replicanti, e alcuni simpatizzanti umani, hanno così deciso di trovare un modo per essere liberi. Facendo esplodere un ordigno nucleare in orbita si è generato un impulso elettromagnetico che ha, di fatto bruciato tutti i dispositivi elettrici ed elettronici. Inoltre diversi replicanti si sono sacrificati per tirare giù i vari server dislocati nel mondo.

Questo ha portato al divieto di creare nuovi replicanti e la Tyrell è andata in fallimento. Su questa scena si innesta Wallace, nel film interpretato da un misuratissimo Jared Leto che si vede per una manciata di minuti. Il pianeta Terra ha esaurito le sue risorse e lui riesce, con un brevetto, non solo a salvare delle vite umane dalla carestia ma acquisisce potere e ricchezza. Riesce a far decadere il divieto con i suoi Nexus 9 che obbediscono ciecamente agli ordini. Vi chiederete: ma allora i Blade Runner non esistono più?

La pellicola si apre con il personaggio di Ryan Gosling, Officer K, un replicante che ha un numero identificativo e non un nome, un Blade Runner che ritira i replicanti scomparsi o che hanno avuto dei problemi. Viene insultato dai poliziotti, che in teoria dovrebbero essere suoi colleghi, perché è un “lavoro in pelle”. Fa una vita solitaria, non ha amici, ha solo il suo lavoro e un ologramma femminile – naturalmente venduto da Wallace – programmato per dire a chi lo possiede esattamente quello che vuole sentirsi dire.
Mentre ritira Sapper Morton, ex soldato che si è ritirato per fare il contadino, fa una scoperta che potrebbe cambiare le sorti sia del mondo umano che quello dei replicanti.
Sepolto sotto un albero c’è una cassa contenente le ossa di una donna che ha dato alla luce dei gemelli ed è morta di parto.
Con grande sgomento tanto di Officer K, tanto del suo superiore il tenente Joshi, interpretato dalla sontuosa Robin Wright, scoprono che la donna era un replicante. E’ avvenuto un miracolo, come dice Morton prima di venir ritirato.
La notizia arriva anche alle orecchie di Wallace, da sempre alla ricerca di un modo per rendere fertili le sue replicanti, e quindi aver più schiavi sostanzialmente senza doverli fabbricare, senza riuscirci.
Qui secondo me il compito di Villeneuve trova piena realizzazione. Non nel citazionismo, non nel ricreare le atmosfere del vecchio Blade Runner con la fotografia e la scenografia, bensì nel raccontare l’esigenza di determinare cosa sia davvero l’uomo.
” Morire per un ideale giusto è la cosa più umana che si possa fare. ”
Viene detto da un replicante a un morente Officer K mentre gli si chiede di uccidere Deckard, catturato da Wallace, per proteggere il segreto del nascituro e ora adulto.
Questo film cambierà il mondo della fantascienza come ha fatto il suo predecessore? Mi sembra un po’ prematuro fare una valutazione ora su questo. Sarà il tempo a determinarlo.
Però… alla fine della proiezione, quando si sono accese le luci, ho scorto seduto tra il pubblico un ragazzino che guardava lo schermo con aria rapita. E mi ha fatto sorridere e mi ha riportato indietro nel tempo a quando ho esperito la stessa cosa con il primo film.
Se Villeneuve con questa opera riuscirà a colpire la mente anche solo di un adolescente, come ho visto io stessa, e a ispirarlo a eguagliare o a superare la sua opera e creare qualcosa di nuovo, forse allora la risposta alla domanda sarà un sonoro sì.

Notazione finale da appassionata di musica:  con tutto che io adoro Hans Zimmer e le sue opere. So che ha fatto decisamente di meglio nella sua carriera e, onestamente parlando, la sua colonna sonora mi è parsa quasi inesistente. Credo che in questo caso Scott, che era produttore della pellicola, abbia portato alla pari la sua querelle che era iniziata con Vangelis e il suo non ritenere importante una colonna sonora creata ad hoc per l’economia del film. Questo forse è l’unico appunto che mi sento davvero di fare.

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