CULTURA E ARTE PER CURARE (E AUTO-CURARSI)

Mi sarei aspettata una folla di studenti dei corsi di Beni Culturali, Medicina, assistente sociale, animatore di comunità ecc., dato l’argomento e il calibro delle due relatrici, invece la conferenza non ha avuto il pubblico che meritava, complice forse l’orario mattutino di sabato. Comunque si diffonderà, il messaggio di “La cultura e l’arte come ancelle della cura”, una chiacchierata presentata all’Università Statale di Milano per la “quattro giorni” di Milano BookCity.

 

Livia Santini è una docente di letteratura inglese nonché ricercatrice, e racconta come un caldissimo Ferragosto a Ravenna in ospedale con un familiare scoprì attorno a loro… il nulla. Ha inventato così, con termini un po’ ironici che giocano col lessico ospedaliero, gli incontri di “Rianimazione letteraria”: pomeriggi con l’autore dentro l’ospedale, a cui partecipano pazienti e parenti (che a volte vengono apposta di domenica per l’evento).

E sono penne celebri a prestarsi gratuitamente, di tutti i generi letterari. La letteratura, spiega la prof, Santini, il lèggere, aiuta tanto durante la malattia quando sembra non esista altro che la sofferenza e la preoccupazione, perché ci fa vedere “altro”, appunto. Tutto un mondo, tanti mondi.

Livia Santini

Giovanna Maria Gatti (MariaGiovanna Luini quando scrive) è un chirurgo senologo con varie specializzazioni e interessi, di lei abbiamo già parlato in occasione della presentazione sul lago di Como del suo libro “Il Grande Lucernario – La lezione di Umberto Veronesi e la nuova via per la cura. Per esemplificare, a chi non la conoscesse, la sua ampiezza di vedute, ricorderò che il suo prossimo libro di imminente uscita avrà per argomento i Tarocchi.

Ma ha pubblicato anche romanzi, e tiene corsi di scrittura creativa a Milano. Per me resta un mistero come trovi il tempo per scrivere, dopo ore e ore coi pazienti e di corse da un capo all’altro della città. Durante questo secondo, felice incontro con lei, parla brevemente della sua scelta di diventare medico, ribadendo che prendersi cura degli altri non è un merito, ma un bisogno, che alcuni hanno in misura maggiore di altri, instillato dal DNA e/o dall’esempio (e cita il suo più grande maestro, il padre Abele, medico condotto).

Racconta poi come negli anni di stretta collaborazione col prof. Umberto Veronesi abbia incontrato scrittori illustri, da Umberto Eco a Oriana Fallaci. Eco rimase sorpreso di vedere i propri libri sulla sua scrivania da lavoro, e notando che erano sciupati chiese: “Li ha anche letti?”… dall’ufficio accanto, Veronesi gli gridò: “Li ha anche capiti!”. La Fallaci appena entrata si accese una sigaretta (all’Istituto Oncologico Europeo!!!), usò il bicchiere di MariaGiovanna come posacenere, si lanciò in una serie di sue elucubrazioni e a un certo momento di punto in bianco le chiese: “Tu scrivi, bellina?”. La dott. Luini non scriveva ancora, non ci pensava neanche, ma evidentemente “l’Oriana” vide in lei qualcosa perché insistette “Tu scriverai”.

Maria Giovanna Luini

Finché è stata in Direzione scientifica IEO ha organizzato anche lei incontri letterari con vari autori. Sempre lei, la dott. Luini, ha inventato il bookcrossing allo IEO e ancor oggi acquista una seconda copia dei libri che legge e che vuole conservare, per lasciarla in Istituto a disposizione dei pazienti; che evidentemente apprezzano (anch’io ho apprezzato…), soprattutto nella sala della chemioterapia. Non è solo un volersi distrarre, è un bisogno più profondo.

E’ la prof. Santini a leggere un brano particolarmente significativo de “Il Grande Lucernario” (pagg. 159-160) sulle virtù dell’arte, della letteratura, della creatività in genere, nell’ “attivare il nostro guaritore interiore”:

“La scrittura, i libri, l’arte, la bellezza sanno curare: che si tratti di corpo fisico, di psiche, di energie non ha importanza. Si può curare chi sta male porgendo il volo di una lettura o la nenia delle parole nei momenti del dolore, una musica, un mantra, un disegno, un esercizio di danza, il fuoco di un quadro o un albero di Natale bianco.

Una ricerca promossa da Europa Donna Italia alcuni anni fa ha dimostrato che dopo un tumore al seno molte donne modificano la propria vita dedicandosi maggiormente alle passioni e lasciando indietro qualche dovere: non che rinuncino alla cura della casa e della famiglia, ma imparano a riservare tempo per se stesse e per i talenti spontanei che si portano dentro. Vanno alle mostre d’arte, organizzano gruppi teatrali e cori, si iscrivono a scuole di ballo, dipingono, scrivono, seguono seminari di creatività, si dedicano al giardinaggio e alla poesia. Intuiscono che il fuoco creativo sia la base per un ritrovarsi, per lo scatenarsi di reazioni interiori che riportano alla voglia di esistere e di essere sane: i medici arrivano fino a un certo punto con le loro capacità di guarigione del corpo, poi ci vuole la cooperazione del paziente (…). Abbiamo voglia di godere ancora di questa incarnazione, con le sue bellezze e le sensazioni che sa darci? Veronesi diceva che questo fosse amore: l’amore per un ideale, una causa, una passione, un talento, un animale, una persona, un’avventura. L’amore creativo è cura”.

la copertina de “Il Grande Lucernario” col motto di Pessoa: “Tudo vale a pena se a alma nao e pequena”

Riporto alla lettera il passo, perché non saprei dire questa cosa altrettanto bene. MariaGiovanna parla anche di amici, di persone fantastiche “mai vinte dal cancro” anche se ne sono morte; persone che hanno vinto, al di là dell’esito finale della malattia, donando ai lettori opere d’arte (come Francesca Del Rosso, che io e molti abbiamo conosciuto come “Wondy”…) e realizzando una propria guarigione interiore.

Aggiungo solo un altro pensiero: la malattia non deve diventare la nostra vita, non deve portarci via la nostra vita. Arte è amore per sé e per gli altri e può aiutarci in questa impresa.

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