Dietro le quinte della storia: Cercasi Monna Lisa disperatamente

È uno dei dipinti più conosciuti al mondo, se non addirittura il più riconoscibile della storia dell’arte.
La Gioconda è un quadro realizzato da Leonardo Da Vinci e risalente al periodo che va tra il 1503 e il 1506. Olio su tavola di pioppo sottile e leggermente imbarcato, una crepa visibile sul retro, diversi danni causati dal rocambolesco susseguirsi di atti vandalici perpetrati ai suoi danni e conservazione affidata a una teca di vetro infrangibile, con livelli di temperatura e umidità controllati dall’esterno.

L’opera di Da Vinci risiede al museo del Louvre di Parigi e si mostra a circa otto milioni di visitatori l’anno.

Quando si incrocia lo sguardo ambiguo di Monna Lisa, la prima cosa che salta all’occhio è la dimensione modesta: 77×53 centimetri, molto meno dell’immaginato.
Il ritratto raffigura una donna seduta con le mani giunte e sullo sfondo, come solito nei dipinti di Da Vinci, è riprodotto un paesaggio fluviale che gioca con le tonalità e la continuità delle linee.
Il fondo è solo uno dei tanti rompicapo a cui l’autore fa appello. Sono molte le ipotesi che vogliono la Gioconda di fronte a uno scenario inventato, alle città di Arezzo o Lecco, in prospettiva al Lago di Iseo o anteposta alle colline dell’agro pontino laziale. Il soggetto è stato rappresentato con precisione maniacale e lo si nota dalle vesti e dai ricami ricercati, dalla differenza delle stoffe che compongono l’abito, dal velo che cinge l’acconciatura e dal panno presente sulla spalla.

Malgrado la facile riconducibilità a Lisa Gherardini, moglie di Francesco Giocondo, la vera identità di Monna Lisa ha sollevato polemiche e dispute tutt’ora accese. Nel tempo, la figura indecifrabile della Gioconda è stata accostata a Isabella d’Aragona, Caterina Sforza, Bianca Giovanna Sforza o addirittura alla madre di Da Vinci, Caterina Buti del Vacca.
È probabile che l’opera sia frutto di un’evoluzione durata anni e che sia anche figlia di un’ispirazione diversa da quella con cui Leonardo aveva cominciato. Infatti, lo storico dell’arte Giorgio Vasari parlò della Gioconda quando questa era già su territorio francese e in possesso di Gian Giacomo Caprotti, apprendista di Da Vinci. Dalla descrizione di Vasari emersero dettagli non presenti nella versione finale del dipinto, come la peluria facciale o la sporgenza degli zigomi. Ciò dimostra quel che poi emergerà dalle analisi ai raggi X compiute in epoca moderna, ovvero, l’esistenza di tre versioni differenti nascoste sotto l’aspetto attuale e definitivo della Gioconda.

Sorvolando sugli innumerevoli miti e leggende che alimentano la grandiosità del quadro di Leonardo Da Vinci, tra tutti il celebre ‘Il Codice Da Vinci’ dello scrittore americano Dan Brown, è interessante fare attenzione alla vicenda più reale, pericolosa e carica di mistero che ha inghiottito l’opera più conosciuta al mondo per ben due lunghi anni.

Martedì 22 agosto 1911, il giorno successivo alla chiusura settimanale. Un giovane pittore entrò nel Louvre di Parigi per realizzare un dipinto: il suo compito era quello di ritrarre il riflesso di una donna nella teca protettiva della Gioconda di Leonardo. Al suo arrivo, dopo aver posato cavalletto e pennelli, si accorse che a posto di Monna Lisa c’erano solo quattro ganci spogli. Poco distante, sulle scale di servizio che succedono al Salon Carré, venne ritrovata la cornice a terra, sul pavimento. L’allarme scattò soltanto nella giornata di mercoledì, perché la direzione del museo svolse una veloce indagine interna: infatti, non era strano che alcuni dipinti venissero ritirati dall’esposizione e che fossero indirizzati al laboratorio di restauro o a quello fotografico.
Purtroppo, non fu questa la spiegazione dell’assenza della Gioconda.

Il ladro è Vincenzo Peruggia, italiano di trent’anni, di professione imbianchino ed emigrato in Francia nel 1907. Aveva diversi problemi, sia di salute che con la giustizia: a causa del saturnismo, intossicazione dovuta al piombo contenuto nelle vernici, l’uomo venne riformato dal servizio di leva e poi, condannato per furto e per molestie. Convinto dell’accanimento e della discriminazione razziale dei francesi ai suoi danni, iniziò a nutrire un profondo fastidio nei confronti dei propri nuovi compaesani. Nonostante i precedenti, prese servizio al Louvre nel 1911 con il compito di ripulire e mettere in sicurezza alcuni quadri. In questo periodo, Peruggia subisce l’ironia e gli sfottò dei colleghi francesi e ciò lo esaspera al punto di tramutare il fastidio in odio: sarà questo il motivo scatenante che genererà il bisogno di rivalsa del giovane imbianchino italiano.
L’uomo tenne conto dell’innumerevoli quantità di opere italiane esposte al Louvre e senza sentire ragioni, né accettare spiegazioni, si convinse della sconsiderata e illegittima appropriazione di beni culturali italiani da parte della Francia.

Dopo il furto, compiuto lunedì 21 agosto, Vincenzo Peruggia avvolse la Gioconda nel camice da lavoro e abbandonò il Louvre, eludendo i pochi uomini della sicurezza. Ormai in strada e preso dal panico, salì sul primo tram disponibile e percorse alcuni metri, accorgendosi poco dopo di andare in direzione opposta alla propria abitazione. Tornato a casa, Peruggia nascose il quadro sotto il letto e lo relegò a quell’assurdo oblio per i successivi due anni.
Vennero interrogati i dipendenti del Louvre, gli ex collaboratori e ogni lavoratore che prestò servizio nel museo nei mesi precedenti al furto: dal direttore all’ultimo addetto alle pulizie. Nessuno venne mai sospettato, nemmeno Vincenzo Peruggia, che giustificò il ritardo di quella mattina con il semplice “Stavo dormendo”.
Del furto vennero sospettati i nemici della patria, come l’impero tedesco e illustri personaggi del mondo dell’arte, come il pittore Pablo Picasso e il poeta Guillaume Apollinaire, che venne addirittura arrestato sulla base di una calunnia ai suoi danni.
La stampa influenzò non poco le indagini, dapprima con una campagna accusatoria ai danni del direttore del museo e poi, con il continuo rilancio di somme di denaro offerte come riscatto.

Intanto, il posto della Monna Lisa di Leonardo Da Vinci venne preso da Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello Sanzio.

A due anni dal furto, il 29 novembre 1913, Alfredo Geri ricevette una lettera proveniente da Parigi e firmata ‘Leonard V’: il mittente si era messo in contatto con l’antiquario fiorentino per far sì che la Gioconda rientrasse in Italia, perché italiana quanto il suo autore.
Dubbioso, Geri chiese consiglio a Giovanni Poggi, allora direttore della Galliera degli Uffizi di Firenze, il quale suggerì di fare un tentativo. Il mercante d’arte chiese di poter sottoporre il dipinto a un esame di autenticità e Peruggia accettò, tornando così in Italia.
Dopo un fugace incontro in albergo, Geri e Poggi capirono di trovarsi di fronte al vero ritratto di Monna Lisa e incerti sul da farsi, decisero di prendere tempo e proporre a Peruggia un confronto con altre opere che si trovano agli Uffizi. Anche in questo caso, l’imbianchino acconsentì.
Mentre l’identità della Gioconda veniva accertata, Vincenzo Peruggia veniva arrestato dai Carabinieri senza opporre resistenza.

Al termine di un’indagine durata due anni e grazie a una risoluzione fortunosa, la Gioconda venne esposta nei musei più grandi d’Italia grazie alla gentile concessione dello stato francese: prima agli Uffizi di Firenze, poi al Palazzo Farnese a Roma e infine, alla Galleria Borghese prima del definitivo ritorno al museo del Louvre.
Vincenzo Peruggia venne condannato per furto aggravato a un anno e quindici giorni di reclusione, ridotti a sette mesi e otto giorni a causa di un vizio parziale di mente e le motivazioni patriottiche che lo spinsero al gesto.
Eppure, un pizzico di leggenda c’è anche in questo: infatti, secondo dalle indagini si sa che Peruggia provò a vendere la Monna Lisa prima del tentativo di restituzione agli Uffizi. Nel 1912, l’uomo si era messo in contatto con un importante antiquario di Londra e al momento dell’arresto, in un taccuino in suo possesso, i Carabinieri trovarono circa trenta numeri di telefono di mercanti d’arte. Alcuni americani.

Da cosa è nato tutto questo? Cosa ha spinto Vincenzo Peruggia a compiere quello che molti definiscono ‘il furto del secolo’? Tralasciando la volontà di vendere il quadro ad antiquari esteri, che potrebbe essere anche frutto di frustrazione e paura per il possesso di materiale così scottante, ciò che ha armato la mano di Peruggia è stata di certo l’ignoranza e per certi versi, anche il razzismo da lui subito.
Leonardo Da Vinci muore nel 1509 e la sua eredità viene divisa tra i suoi due apprendisti più vicini: Francesco Melzi e Gian Giacomo Caprotti. Il primo, ritenuto più affezionato e vicino al maestro, riceve tutti gli scritti e tutti i disegni; il secondo, invece, ritenuto un poco di buono e soprannominato ‘Diavoletto’ dallo stesso Da Vinci, eredita solo un modesto numero di quadri. Tra questi vi era la Gioconda. Caprotti rivendette subito il lascito del proprio maestro e infatti, proprio in quel momento, la Monna Lisa divenne legalmente francese. I suoi proprietari cambiarono nel corso del tempo, passando dal Re di Francia a Napoleone e fu proprio grazie al conquistatore di Ajaccio che trovò posto al museo Napoleonico, oggi Louvre.

Forse, sarebbe bastata qualche lettura in più. Sia ai francesi che agli italiani.

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