IEO PER LE DONNE: VIVERE DOPO/CON IL CANCRO

Da undici anni a Milano si tiene la giornata “IEO per le donne”, voluta dal prof. Umberto Veronesi come momento di confronto per le donne operate presso l’Istituto Europeo di Oncologia: confronto tra loro e con i medici, per condividere un vissuto, sostenersi a vicenda, e fare insieme il punto su quali sono “le nuove frontiere” nella ricerca e in genere nella battaglia sociale per i diritti delle donne che hanno o hanno avuto il cancro.

foto di gruppo sul palco del Teatro Manzoni

Quest’anno la giornata è stata ospitata al Teatro Manzoni il 29 maggio ed è stata una specie di festa. Nell’atrio del teatro si distribuiscono gli omaggi alle partecipanti, ci sono bancarelle di alimenti “naturali” e soprattutto c’è il tavolo per sostenere la ricerca (si può fare in vari modi: 5 x mille, donazioni, lasciti testamentari…). Nel foyer davanti alla sala ancora chiusa c’è a disposizione di tutti una ricca colazione con frutta e succhi oltre ai tradizionali cappucci e brioches. Le signore sono tantissime, vestite e truccate con cura come per un grande evento mondano, e si accalcano impazienti prima dell’apertura delle porte, come se fosse l’ingresso a un gran ballo o l’inaugurazione… dei saldi in qualche celebre shop.

L’atmosfera è gioiosa “anche se” si parla di cancro… (e chiamiamolo col suo nome, dicono in tante, perché “a volte anche i medici hanno paura di nominarti quella parola: che cavolo vuol dire Eh, signora, ci sono un po’ di cellule un po’ brutte…???) o forse proprio per quello, perché le partecipanti sono delle sopravvissute e sono lì per celebrare insieme la vita.

Sopravvissute però è una brutta parola, perché il senso della giornata è appunto questo: dopo, o con, la malattia si può vivere, e vivere bene, non solo sopravvivere.

Innanzitutto “non siamo nel Medioevo ma nel XXI secolo, e non siamo nel Terzo Mondo ma in Lombardia, dove abbiamo l’eccellenza” (le parole esatte dell’amica che mi indirizzò allo IEO: ma l’Istituto non è certo l’unica “eccellenza” lombarda nel campo della salute!); e poi, esistono ora tanti modi, tante iniziative, per affrontare e superare il trauma (fisico e psicologico) della malattia. Allo IEO ci sono ambulatori di agopuntura, di psiconcologia, di nutrizione ecc. ma si portano avanti anche progetti come “Pink is Good” (partecipazione di donne, operate alla mammella o all’apparato riproduttivo, alla Maratona di New York) o “Pazienti a bordo” (scuola di vela all’isola di Caprera, utilizzando le difficoltà dell’andar per mare come metafora della lotta contro la malattia, della ricerca di risorse e capacità per affrontare la tempesta).

Ma a un sondaggio realizzato sul campione di 1000 pazienti iscritte a “IEO per le donne” è emerso che il 47% utilizza i social per condividere il proprio percorso tra malattia e guarigione, anche se le storie incontrollate che girano su internet sono spesso fonte di confusione e di ansia: così la prima testimonianza presentata in quella mattinata è di una giovane signora che ha fondato un gruppo facebook (Le Guerriere Official) per aiutare con la condivisione le donne che si sentono fragili e sole ad affrontare il cancro, gruppo però saldamente “moderato” appunto per evitare fake news e voci inutilmente allarmistiche.

Poi c’è la responsabile dei volontari che assistono i pazienti IEO (preziosa la loro opera anche semplicemente all’Accettazione per mostrare come accostare impegnativa o tessera sanitaria ai lettori ottici… ai quei totem giungono ogni giorno centinaia di persone da tutta Italia e dall’estero, spesso anziane, spaventate, disorientate…): si presenta con l’abito rosso che tanti anni fa sua madre le comprò a pochi giorni dalla diagnosi e racconta come fu accettata come volontaria quando ancora era in cura, perché evidentemente aveva la forza e la calma necessarie. C’è l’artista che parla del teatro come terapia; c’è la paziente arrivata dal Sud che quasi in lacrime chiede di non abbandonare le donne di aree dove non esiste quasi nulla; l’altra che chiede se l’aumento dei tumori anche in età giovanile non sia collegato a inquinamento ambientale e alimentare; c’è l’avvocatessa (tostissima) che in 25 anni di interventi, cure, metastasi e recidive ha adottato una bimba e si batte per il rientro al lavoro delle donne oncologiche: perché se le lavoratrici del pubblico impiego sono ritenute “fortunate” (anche se, vien fatto notare, hanno tutta una serie di accertamenti obbligatori in giornate lavorative che NON vengono retribuite), la donna giovane libera professionista che durante la malattia non può lavorare è a rischio povertà.

(Esempio: noi giornalisti free-lance iscritti alla previdenza obbligatoria INPGI-2 con contributi obbligatori annui, se NON siamo Co.co.co o parificati NON abbiamo diritto ad alcuna indennità di malattia, solo a quella di gravidanza…)

Col prof. Paolo Veronesi (Direttore della Senologia che è il fiore all’occhiello dell’Istituto) a fare gli onori di casa e la vicedirettrice del Corriere della Sera Barbara Stefanelli a condurre le interviste, si avvicendano sul palco vari esponenti IEO ma anche volti noti dello spettacolo per regalare momenti di comicità: Carla Signoris (moglie di Maurizio Crozza, per la cronaca) recita brani del suo libro “Ho sposato un deficiente” col collega Fabio De Luigi a farle da “spalla”; e Lella Costa si produce in brani dei suoi monologhi su quale sia in realtà il sesso forte (esilarante il commento su “quei giorni” che, con tutto il loro significato simbolico di perpetuazione della specie e il… corollario di malesseri, se li avessero avuti i maschi sarebbero stati proclamati festività nazionali mensili con astensione obbligatoria dal lavoro e nomi altisonanti tipo “Le Cinque Lune Rosse”… e il teatro vien giù dalle risate).

A margine si parla, si condivide, si fa amicizia, si ritrovano facce conosciute… C’è una signora che si avvicina alla ballerina classica per ringraziarla di essersi presentata con quella cascata di riccioli: quella incrocia le dita e commenta “Speriamo, è da poco che sono stata operata”, ma l’altra le sfiora i capelli e ribatte “Beh, ho apprezzato!”. Ha apprezzato perché ha interpretato il gesto esattamente per quello che era: una sfacciata sfida allo “schifoso”, un omaggio alla bellezza (esteriore e interiore) della donna, e l’affermazione che oggi cancro non significa per forza chemio e cure devastanti.

Una delle “nuove frontiere” della ricerca infatti è la “de-escalation”, la riduzione delle dosi per i cosiddetti “trattamenti adiuvanti” cioè le terapie farmacologiche post-intervento per abbassare il rischio di recidiva: si è osservato che le pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale, piccolo (piccolo significa sotto i 2 cm…) e senza interessamento dei linfonodi, possono avere una prognosi buona anche se colpite dal tumore “triplo negativo”, cioè non sensibile agli ormoni femminili e quindi non trattabile con le cure ormonali ma solitamente con la chemioterapia. I ricercatori stanno mettendo a punto un test genomico per determinare il “mix di geni” che funzionano da marker di buona prognosi, le cosiddette firme genomiche: le portatrici sono a minor rischio di recidiva e potrebbero evitare di dover ricevere la chemioterapia.

E poi c’è chemio e chemio, ci sono farmaci “che non fanno cadere i capelli” ed esiste anche un casco refrigerante che, abbassando la temperatura del cuoio capelluto fino a 4 gradi, impedisce che il sangue vi trasporti le molecole del farmaco mentre viene infuso… Se dunque il carcinoma mammario colpisce una donna su 8 e si stanno moltiplicando purtroppo i casi tra le donne molto giovani oppure anziane, al di fuori della fascia “normale” sui 50-60 anni, il tasso di sopravvivenza è molto alto, circa 87 per cento a cinque anni dalla diagnosi; si sta puntando all’obiettivo del 100 per cento, ovviamente, ma anche “a far sì che una donna torni a vivere una vita piena” dice Veronesi; “Abbiamo il dovere di pensare più in là del sopravvivere”.

Tre dunque le vie da percorrere: la direzione “chemio-free” con utilizzo delle nuove terapie che riducono al minimo la tossicità sull’organismo (evitando la chemioterapia coi suoi effetti debilitanti, ove possibile); l’offerta di cure integrative (sessuologia, psicologia ecc. come già dicevamo); e la formazione degli oncologi a un rapporto con i pazienti “basato sulla continuità dell’ascolto” , perché l’ascolto è parte della cura.

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