Pif-la mia storia da dog sitter a regista

“Mio padre aveva una casa di produzione video e negli anni 80 viaggiava da Montecarlo e Palermo, mi è venuto spontaneo amare il cinema” è iniziato così il racconto di Pier Francesco Diliberto, meglio conosciuto come Pif che durante la mattinata del 2 ottobre ha incontrato un gruppo di appassionati e di addetti al lavoro in occasione di uno dei tanti eventi organizzati dal Milano film festival. Quella che doveva essere una semplice intervista si è trasformata in un vero e proprio racconto da parte del regista, avvincente ed affascinante che parola dopo parola ha raccontato il suo percorso da ragazzo appassionato di cinema a regista.

Come è iniziata la tua avventura?

Il suo esordio lavorativo non è stato certo uno dei migliori. Ha iniziato rischiando di fare l’assicuratore per Sara assicurazioni a Frosinone, un lavoro sicuro e ben retribuito al quale ha preferito scegliere il nulla tentando di seguire la sua strampalata passione per la settima arte. Approfittando di una delle tante iniziative portate avanti dal comune di Palermo si è ritrovato a fare l’assistente nientepopodimeno che di Franco Zeffirelli, beh in realtà come racconta con molta ironia era l’assistente dell’assistente dell’assistente, in poche parole era relegato a svolgere una mansione che di cinematografico aveva ben poco, se non addirittura niente. Era quello che si poteva definire un dog sitter, o come ama definirlo lui “il responsabile della salute e della sicurezza di Blanche il cane di Zeffirelli”. Un lavoro non proprio semplice visto che il povero animale si spaventava ad ogni scena che includesse e prontamente scappava dal suo padrone, in pratica roba da rischiare ogni giorno il posto di lavoro.  Diviso fra il lavoro di dog sitter e assistente alla regia, una volta conclusasi la collaborazione con Zeffirelli ha finalmente partecipato in prima persona alla realizzazione di un film, “Cento passi” di Marco Tullio Giordana uscito nelle sale nel 2000.

Il primo punto di svolta nella sua vita è arrivato nel 1999 quando ha aderito al corso per autori proposto da Mediaset grazie al quale ha realizzato delle piccole scenette con Samantha de Grenet. E’ stata però la chiamata di Davide Parente, produttore delle Iene che lo ha fatto salire a bordo del programma ideato da Ezio Greggio. Per Pif si è aperto una specie di mondo, “un po’ come quando sei un marine ed entri in un campo di battaglia dove tutti combattono”. Al servizio di Marco Berri ha iniziato la sua piccola carriera da autore e di regista di se stesso ritrovandosi coinvolto nelle più strane avventure. Mirabile quella volta quando intraprese un viaggio in pullman da Milano a Casablanca, un tragitto infinito che lo cambiò profondamente, partì Pier Francesco e tornò Pif, un nome necessariamente corto perché altrimenti nessuno se lo sarebbe mai  ricordato.

Ma allora quand’è che veramente è cambiato tutto?

Nemmeno lo stesso Pif è in grado di rispondere anche se parrebbe identificare quel momento quando  ha potuto dare libero sfogo alla sua creatività di regista improvvisato che un po’ per caso filma con la sua telecamerina”. Tutto inizia quando il corso per autori passa a mtv, è a quel punto che propone un programma al centro del quale lui regista della trasmissione viaggia e filma servendosi della sua sola macchina da presa. Il suo scopo è scardinare il concetto di tv e cinema, mostrare un mondo reale così come è, senza tagli e abbellimenti tipici della settima arte dove i divi non sono più tali, ma sono semplici persone come tutte le altre. La povertà dei mezzi diventa il suo grande stimolo creativo, si serve di una piccola macchina che non da nell’occhio ma che ha la caratteristica di rimanere sempre accesa, i suoi  collaboratori si mantengono a debita distanza. In questo modo può proporre un dialogo frontale con il personaggio che si comporterà nel modo più naturale possibile. È proprio questo che sarà alla base del successo del format de “Il testimone” che è caratterizzato da imprevisti impensabili.

E’ forse il successo la cosa che ama di meno Pif, non tanto perché “esso inevitabilmente ti cambia, ma soprattutto muta anche il giudizio che hanno di te tutti gli altri”. Una volta quando ancora non era famoso era molto più facile tirare fuori dai personaggi la loro naturalezza e spontaneità, ora invece è più difficile ed è completamente cambiato il rapporto che hanno gli altri nei suoi confronti, il successo inevitabilmente modifica la realtà “Mi piaceva molto di più quando mi mandavano via perché non mi conoscevano, piuttosto che adesso che mi accolgono a braccia aperte, almeno prima si comportavano in modo vero” dice. Ora per portare avanti il suo format è costretto a mettere da parte il Bel paese, andare in altri stati, entrare in contatto con altre etnie ignare del suo personaggio e disposte a mostrare ciò che sono realmente. “Il testimone” ha avuto poi un seguito in rai diventando “caro marziano” in cui con puntate molto più brevi e stringenti immaginava di raccontare ad un marziano ciò che avveniva sulla terra.

Come sei tornato al cinema?

“Ero sulla navetta che porta da Cologno Monzese e Milano e ho avuto una crisi di pianto”, mica male come inizio per la svolta della sua carriera, ma che rende ben chiaro come si trovasse insoddisfatto della vita lavorativa che stava portando avanti, lui voleva il cinema, era quella la sua vocazione. Eppure un giorno è arrivato, come si è solito dire “dopo tante chiamate il cinema ha chiamato lui”. Racconta la chiamata di Mario Gianani avvenuta nel 2008 come qualcosa di mitologico, strambo e sicuramente inaspettato. Gli chiede un’idea per un film, Pif non si fa certo ripetere due volte e così che nasce “la mafia uccide solo d’estate”. Ecco un nuovo mondo aprirsi davanti a lui, il mondo del grande cinema, del set cinematografico dove tutti corrono da una parte all’altra senza tenere conto dell’opinione del regista che a malapena ha tempo di girare la sua scena, poi il successo.

“Sapete, ho un tempo di rielaborazione un po’ lungo, ci impiego tanto ad avere un’idea”, bisogna infatti aspettare tre anni per vedere il suo nuovo film “in guerra per amore”, una pellicola che ancora una volta ha al centro la sua amata Sicilia. Eppure il salto che intercorre tra il primo e il secondo lavoro è ben più ampio di quello tra il testimone e la mafia uccide solo d’estate”, “è tutto più ingigantito, c’è più budget, più personale e più pressione addosso”. Eppure fare cinema è un lavoro bellissimo, uno di quelli che impari facendo e non finisci mai di imparare. Eppure rimpiange un po’ il prima, quando Pif era solo un suono e poteva viaggiare senza essere riconosciuto, aveva un’idea, una piccola telecamera che rendeva inalterata la realtà.

E ora che progetti hai ?

“Bella domanda, come sapete io sono del sud, sono un filo lento, ho bisogno di tempo prima di elaborare qualcosa” risponde regalando un sorriso che pare racchiudere tutta la soddisfazione di quello strampalato viaggio iniziato facendo il dog sitter e destinato ad avere successo, ancora e ancora.

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