Tecnologia, è davvero il demonio 2.0?

 

C’è una tendenza che sto osservando e che mi sta letteralmente mandando su tutte le furie. Stiamo assistendo alla creazione di un nuovo demonio chiamato “Tecnologia”. Vorrei introdurre l’articolo con la definizione di questa parola o almeno una delle tante nel corso degli anni.
Nel 1937, il sociologo americano Read Bain scrisse che «la tecnologia include tutti gli strumenti, macchine, utensili, armi, strumenti musicali, abitazioni, abiti, dispositivi di comunicazione e trasporto e l’abilità attraverso la quale noi produciamo e usiamo queste cose» (cit Wikipedia).
Se dovessimo basarci solo su questa definizione, essere contro la tecnologia significherebbe dover rinunciare a cose tipo: il fornello con cui ogni giorno facciamo da mangiare, la macchina per il caffè con cui lo prepariamo ogni mattina. Ah, giusto, dimenticavo: il caffè non nasce così in natura già stipato nei pacchetti che vengono venduti nei supermercati. Si tratta di una pianta che subisce diversi processi di lavorazione prima di diventare del formato utilizzabile per le nostre caffettiere. E potrei fare mille e più esempi di come la tecnologia, secondo la definizione di Bain, influenza la nostra vita.
La mia riflessione è scaturita dall’ennesimo episodio di demonizzazione avvenuto mostrando una foto, ambientata in un museo, dove i ragazzini avevano lo sguardo fisso sugli smartphone invece di guardare le opere d’arte. In realtà i ragazzini erano stati sfidati in una gara dalle guide del museo. Attraverso una nuova app, avrebbero dovuto scoprire quante più cose possibili sull’opera che stavano per vedere.  Ma la foto è stata riportata senza un minimo di spiegazione giusto per demonizzare lo strumento. Senza chiedersi se magari quella app fosse più efficace e, soprattutto, a costo inferiore, di una normale audio guida vecchio stile. No, non era quello l’intento. L’intento intrinseco era quello di svalutare i ragazzini troppo abituati a ricorrere allo smartphone. Ed è vero, molti di loro lo utilizzano troppo ma non credo che sia per colpa dello strumento. Ogni oggetto, ogni tecnologia, può essere usato in maniera appropriata oppure no. Ma in se la tecnologia è neutrale.

Esistono diversi articoli e video che parlano della preoccupazione di alcuni che le macchine possano prendere il sopravvento. Esiste anche un tristissimo documentario della National Geographic che parla dell’intelligenza artificiale di 46 minuti circa. 40 minuti spesi a dire quanto dobbiamo avere paura dell’intelligenza artificiale, perché potrebbe rubarci il posto di lavoro, perché potrebbe lentamente sostituirci in ogni settore, rendendoci di fatto obsoleti. Soli 6 min, gli ultimi, per dire che magari questa intelligenza artificiale potrebbe essere utile in ambiti medici, per sostituire parti del corpo umano danneggiate e così via. Solo 6 minuti in cui la tecnologia, l’intelligenza artificiale, non viene dipinta come il demonio. Perché?
Non sono un’ingenua, né una sprovveduta. Ripeto per ogni strumento, ogni tecnologia c’è il suo pro e il suo contro. Può essere usato bene oppure no.
La risposta a questo tipo di riflessioni arriva dalla fantascienza. Da sempre questo genere si è posto interrogativi pregnanti sull’essere umano e sulla società in genere. Spesso e volentieri ha fatto anche lei parte del gruppo che demonizza la tecnologia (Trancendence, Terminator, Battlestar Galactica,  Westworld, giusto per fare un paio di esempi) ma abbiamo avuto esempi in cui la riflessione si fa neutrale. In Person of Interest viene mostrato come una A.I. può imparare a rispettare la vita umana e ad apprezzarne la sua caducità. Data della serie Star Trek Next Generation aspira sempre di più a essere umano per poterlo comprendere meglio. E in X-files, in un episodio che potrebbe tranquillamente stare alla pari di tanti episodi di Ai confini della realtà, Chris Carter da una risposta alle macchine che stavano  assediando Mulder per una mancia. Alla frase “Impariamo da voi.” Fox replica: “Dobbiamo essere insegnanti migliori.”

E’ proprio qui la chiave. Siamo noi esseri umani ad avere il comando. Noi umani decidiamo come usare la tecnologia. Se mai si dovesse puntare il dito contro qualcuno, e onestamente parlando lo trovo inutile, il colpevole sarebbe sempre il solito essere umano. Preferisco piuttosto chiudere l’articolo mostrandovi questo video. Una conferenza in cui Tom Gruber, scienziato dell’informatica, sostenitore di una intelligenza artificiale umanistica, fondatore del Siri Inc. – sì proprio quel Siri – ci racconta di come lui concepisce l’intelligenza artificiale.
Dobbiamo solo decidere cosa vogliamo davvero.
“Possiamo scegliere di usare l’IA per automatizzare e competere con noi, o possiamo usarla per potenziare e collaborare con noi, per superare i nostri limiti cognitivi e per aiutarci a fare quello che vogliamo, ma meglio. E mentre scopriamo nuovi modi per rendere intelligenti le macchine, possiamo distribuire quell’intelligenza a tutti gli assistenti virtuali del mondo, e di conseguenza a ogni persona, indipendentemente dalle circostanze. E questo è il motivo per cui ogni volta che una macchina diventa più intelligente, anche noi lo diventiamo.”

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