Van Gogh, Tra il grano e il Cielo. Basilica Palladiana Vicenza

Fortemente voluta, pubblicizzata da molti mesi prima della sua apertura, la mostra dedicata a Van Gogh a Vicenza presenta liste d’attesa degne di tutto rispetto, segno di una buona – buonissima – risposta di pubblico, in gran parte straniero. Situata nel salone superiore della Basilica Palladiana, più che una mostra potrebbe essere definita un percorso emotivo. E’ questo il tratto caratteristico dell’allestimento voluto da Marco Goldin, tratto che ad alcuni esperti d’arte ha fatto storcere il naso, mentre ad altri è andato decisamente a genio.

La Basilica:

(Foto tratta da VicenzaToday)

Progettata dall’architetto Andrea Palladio a metà del ‘500, dal 1994 è entrata a far parte nella lista dei patrimoni dell’UNESCO. Simbolo della città, il suo tetto a carena rovesciata è inconfondibile, sia all’interno che all’esterno.

E veniamo qui al primo tasto dolente della mostra.

Lo spazio espositivo, eccessivamente buio per i miei gusti, ha il pregio di mettere in risalto le bellissime opere del pittore olandese, ma possiede il difetto di nascondere completamente quel che è la grande e magnifica sala superiore. Solo chi la conosce, troppo pochi, si è fermato qualche istante a sollevare il naso verso l’alto e perdere l’occhio tra le capriate lignee che corrono lungo la carenatura del tetto. Ma l’oscurità delle sale non permetteva nessuna visione d’insieme dell’ambiente in cui ci si trovava, cosicché avremmo potuto tranquillamente trovarci in un museo anonimo e non si sarebbe notata la differenza.

Mettete a confronto la foto poco sopra con questa qui sotto.

(Immagine tratta da LaRepubblicaVeneta.it, crediti in foto)

Ripeto, un vero peccato. Sicuramente la decisione di Marco Goldin è stata presa dopo attente valutazioni e dall’alto della sua esperienza – sulla quale non mi permetto di esprimermi, poiché l’esperto è lui ed io una semplice appassionata d’arte – tuttavia penso che si sarebbe potuto trovare un degno compromesso per mostrare al pubblico due magnificenze in una: la pittura di Van Gogh e l’architettura palladiana in tutto il suo splendore restaurato, tanto più che ci sono state mostre passate che sono egregiamente riuscite nel duplice intento.

Van Gogh:

Come affermato poco sopra, si tratta di un vero e proprio percorso emotivo in cui il visitatore è accompagnato passo dopo passo.

Non me la sento qui di affiancarmi a coloro che si sono espressi con critiche verso questo taglio espositivo, anzi dico con franchezza che l’ho apprezzato e non poco.

43 dipinti e 86 disegni, la maggior parte prestata dal Kröller-Müller Museum in Olanda, ricostruiscono con attenzione la vita del celebre pittore. I grandi pannelli nelle sale raccontano – non in maniera a-critica, bensì con genuino trasporto – i tratti salienti del percorso personale ed artistico di Vincent e ad essi si affiancano proprio i suoi scritti tratti dalle lettere all’amato fratello Theo.

Ed ecco il secondo e ultimo tasto dolente: il monolinguismo. D’accordo, molti stranieri erano dotati di audioguide, ma non tutti e le spiegazioni nel solo italiano potrebbero non essere state un’idea ottimale per chi non aveva dimestichezza con la nostra lingua.

Torniamo però alla mostra.

L’uomo Vincent non è mai scollegato dal pittore e disegnatore Van Gogh.

Se questo è un discorso valido per qualsiasi artista, nel nostro caso il legame è rafforzato da una perenne inquietudine interiore che si riflette nelle pennellate, nei disegni a carboncino, nelle svariate riproduzioni di un medesimo tema al fine di affinare sempre più la tecnica per potersi mettere alla pari con i grandi pittori Impressionisti della sua epoca.

Ne emerge un Van Gogh che disegna e disegna: donne che cuciono, contadini chini sui campi, strade di campagna e famiglie sedute ad una povera tavola imbandita con sole patate. E ai disegni affianca i dipinti. Dai colori quasi terrei e cinerei del periodo olandese, al giallo inteso dei campi di grano che si stagliano sull’azzurro dei cieli di Provenza.

Di Van Gogh troppo spesso si conoscono le inquietudini ed alcuni celebri dipinti, ma l’artista dietro di essi, l’artista che si esercita in continuazione, che esegue anche un dipinto al giorno e che cerca sempre di migliorarsi… ecco, questo artista che non fa che apprendere quanto vede dagli altri molto spesso non viene considerato, come se per alcuni Van Gogh fosse “nato imparato”, per usare una licenza poetica e dialettale. Questo approfondimento è stato invece molto utile, anche dal semplice punto di vista didattico.

(Immagine tratta da LaRepubblicaVeneta.it, crediti in foto)

Il docu-film che conclude la mostra, insieme alla ricostruzione della casa di cura per malattie mentali di Saint-Paul-de-Mausole a Saint-Rémy, dove Van Gogh scelse di ricoverarsi dal maggio 1889 al maggio 1890, sono i due pezzi forti del percorso espositivo. Il secondo affianca foto odierne e dipinti di Vincent e ci permette così di ammirare le pennellate vibranti di realismo e di tormento interiore. Il primo, della durata di circa un’ora, ci porta presso i luoghi vissuti dall’artista e, ancora una volta, intreccia emotività e pittura, lato umano e lato artistico, un unicum inscindibile e tragico che si concluderà con il suicidio, nel 1890.

La mostra e la Basilica vi aspettano fino all’8 aprile 2018. Nonostante le mie due piccole critiche personali, una visita vale davvero la pena di farla, perché vi sarà quasi impossibile non terminare la visione del docu-film con qualche lacrima agli occhi per la commozione.

Introduzione alla mostra, di Marco Goldin.

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