Intervista a Valerio Vannini – Il teatro come passione di vita

Caro Valerio, prima di tutto grazie di cuore per aver concesso un’intervista a noi di Over There – La cultura al vostro servizio e di Arcobaleno di Pensieri.

Sappiamo che hai lasciato il teatro da diverso tempo per motivi molto validi, ma prima di parlare di questo vorremmo fare un lungo passo indietro.

In effetti è proprio così. La mia esperienza teatrale si è di fattoi conclusa con la fine dei ’70 del secolo scorso, ma se nel decennio successivo qualche piccola nostalgia per quel periodo per me così fecondo ogni tanto timidamente balenava all’orizzonte, guardando adesso in prospettiva le cose, sono ben felice di aver avuto quel coraggio.

valerio

Da dove nasce e come si sviluppa la tua passione per il teatro?

– E’ stata una passione che ha le sue radici già nella mia prima infanzia e ha preso corpo e forza nell’adolescenza. Pensa che quando giocavamo da bambini proponevo spesso il gioco del teatro e a volte riuscivo persino a “imporlo” (ci inventavamo “situazioni” e andavamo “a braccio” esibendoci sul pianerottolo centrale della mia abitazione). Diventato più adulto, è stata prima di tutto la scuola a farmi tener vivo l’interesse, perché a fine anno scolastico i ragazzi e le ragazze della quarta e della quinta elementare venivano chiamati dalle insegnati a rappresentare a fine anno uno spettacolo di prosa (ovviamente per ragazzi) dove a me assegnavano sempre parti importanti. Immaginavo quindi di poter aspirare a diventare un grande attore (ma non immaginavo invece che poi il mio vero interesse sarebbe stato quello della regia, anche perché come attore…. ero oggettivamente abbastanza mediocre).

Qual è l’opera di cui sei più orgoglioso?

Non ho una vera scala di valori: ho fatto sempre e solo gli spettacoli che mi interessavano. Ci sono semmai titoli ai quali sono più affezionato (per quel che hanno rappresentato nel mio percorso… diciamo così: artistico). Indubbiamente allora “La visita della vecchia signora” di Dürrematt che è stata la mia prima vera regia (con oltre 20 attori in scena), le mie personalissime riletture (con pesanti interventi anche sul

PHOTO: EAST NEWS/SIPA PRESS  SIPA ICONO

testo) de “Il matrimonio” di Gombrovicz e de “Lo stato d’assedio” di Camus (indubbiamente l’opera di maggior successo così poco rappresentata in Italia, che è stata oggetto di molte tesi di laurea) e “Oplà, noi viviamo!” di Toller che è stato il testo conclusivo, il mio “canto” del cigno” (molto evidente anche da come era strutturata la messinscena).

E quella che non porteresti più in scena?

Come si può ben comprendere dalla mia precedente risposta, non ce ne sono: tutte sono state per me importanti e necessarie (rispondevano a precise esigenze del momento). Posso semmai parlare del dispiacere per non aver potuto realizzare la regia di tre testi che ho amato profondamente (ma gli intralci anche burocratici che me lo hanno impedito, erano davvero insormontabili e me ne sono dovuto fare una SanctaSusanna_Silvia_Lelli_8857.1341745829ragione): mi riferisco a “Sancta Susanna” di August Stramm (un testo fondamentale del teatro dell’espressionismo che è diventato poi anche una “disturbante” (per musica e tematiche) opera lirica di Hindemith, “La bambina Piedad” di Hermogenes Sainz e “Requiem per una monaca” personale rilettura del romanzo di Faulkner e della conseguente riduzione teatrale fatta da Camus.

Quanto ci hai messo di tuo nel dirigere e interpretare qualcosa?

Se si escludono le brevissime esperienze da professionista (quando per forza di cose ho dovuto spesso sottostare ai voleri della committenza e dove il mio lavoro è stato molto più “tecnico” del solito, ma purtroppo Edward_II_&_Gaveston_by_Marcus_Stoneanche meno creativo e soddisfacente) per tutto il resto ci ho messo davvero molto di me stesso (parlo della regia, ma il discorso può valere anche per le piccole parti recitate che a volte mi sono ritagliato come per esempio il ruolo di Pietro Gaveston nella rilettura politica di “Vita di Edoardo II d’Inghilterra” da Brecht/Marlowe, o quello del Professor Lüdin, direttore del manicomio dove è stato rinchiuso Karl Thomas, il protagonista del dramma di Toller “Oplà, noi viviamo!”.

C’è qualcosa che cambieresti nel tuo percorso teatrale?

Ho riflettuto molto su questo punto ma… no, non cambierei nulla. Semmai avrei voluto avere maggior coraggio e grinta ne gestire la mia breve stagione da professionista.

Ti mancano gli anni 60/70 dove c’era molto più attenzione per il teatro?

pieralli Moltissimo (forse in questo però c’è anche molta nostalgia per la mia forsennata gioventù). Furono proprio gli anni a cavallo fra i ’60 e i ’70 in cui rifiorì improvvisa- trasversalmente e non soltanto qui in Italia – non solo la voglia di far teatro, ma anche quella di provare a “svecchiarlo”. Fu insomma un periodo davvero magico che portò a un ritrovato interesse culturale in cui il teatro in tutte le sue forme era davvero centrale sorretto certo dalla passione dei tanti gruppi sperimentali germogliati in ogni dove (venivano chiamati allora “Gruppi di base”) e dalla nascita delle Cooperative teatrali, ma anche dall’interesse di una critica (e dei media in generale) di nuovo molto sensibile e presente che veniva a vederli quegli spettacoli di semi-professionisti che rompevano la monotonia dell’ufficialità e che, dedicava loro ampi spazi sui giornali pari a quelli che erano di norma 10612riservati alle compagnie più blasonate. Una palestra formativa (anche di scrittura o di riscrittura dei testi) seguita da un vasto pubblico e con un circuito regionale di tutto rispetto nella quale sono sbocciati i talenti (parlo della Toscana) di Benigni, del Monni, di Daria Niccolodi, di Marco Mattolini, Athina Cenci,(e tutto il gruppo dei Giancattivi) Saverio Marconi, Marco Columbro e Pier’Alli, e cito solo i nomi più prestigiosi e noti.

L’altro giorno parlavamo del Teatro Libero, una delle poche compagnie indipendenti con idee fresche ed originali: credi che possa servire a rilanciare il teatro nel nostro paese?

StrammSarebbe non solo bello, ma anche positivo, devo però confessarti che nutro molti dubbi che il teatro possa avere (almeno a breve) un possibile rilancio che lo riporti all’attenzione di un più vasto pubblico anche giovanile considerando il clima complessivo di anticultura che ne sta segnando la sorte in negativo. Ritengo comunque importanti e necessarie queste preziose iniziative che per diventare più incisive avrebbero però necessità di una maggiore visibilità mediatica e di finanziamenti più consistenti perché soprattutto adesso, per crescere ed affermarsi, non può bastare solo il volontariato della passione. Manca inoltre una drammaturgia diffusa che lo rinnovi anche nelle tematiche e nelle forme narrative (per scrivere con efficacia opere teatralmente pregnanti, è necessaria una lunga palestra preparatoria a un mezzo che ha una sua specificità che non può essere improvvisata, un poco come accade anche per le sceneggiature cinematografiche). Comunque “sacche di resistenza attiva” esistono per fortuna (quella del Teatro Libero ne è un esempio lampante) e qualche talento vero si intravede all’orizzonte, anche se per quel che riguarda la regia i tentativi più arditi e interessanti sonno diventati appannaggio della lirica dove si sperimenta molto e molto meno del teatro di prosa dove sono pochi i registi che tentano strade nuove (il primo nome che mi viene in mente è quello di Latella).

E’ una mia impressione o ci sono molto dilettanti allo sbaraglio in questo ambiente? Mi riferisco alle troppe persone provenienti dai reality, senza alcuna esperienza teatrale vera, che vengono ingaggiati solo per riempire le platee…

La tua non è un’impressione: purtroppo è proprio così ed è quello che fa più male al teatro e rischia di seppellirlo definitivamente. Manca una preparazione di base, e non è un problema solo di dizione e di articolazione fonetica delle parole, ma anche di giusto utilizzo dei fiati, di saper come fare a “veicolare” la voce fino alle ultime file della platea senza bisogno dell’amplificazione, di avere un portamento scenico adeguato, di saper mantenere i giusti ritmi nei dialoghi. Si va invece allo sbaraglio, tanto è il nome (e l’effimera notorietà di un momento costruita in altra sede e situazione) a fare da paravento, e non si sente il bisogno di prepararsi (ammesso che si abbiano le doti necessarie) per essere incisivi e addestrati al mezzo. Manca insomma il talento nella maggior parte di questi “prestigiosi” (si fa per dire) personaggi del momento il cui contributo è più distruttivo che costruttivo in quanto anche tutto il resto deve essere adeguato alla loro impreparazione. E’ purtroppo questa la più evidente cartina di tornasole che ci fa toccare con mano la natura perniciosa della malattia che affligge la nostra scena teatrale dove spesso si fa il pieno in sala di spettatori che sono accorsi solo per vedere il “divo” di turno del momento non certo per l’interesse a ciò che viene rappresentato sulla scena.

Credo sia colpa del pubblico o è un problema più complesso questo poco coraggio di lanciare nuove idee?

Il problema è decisamente più complesso (e le ragioni così numerose che sarebbe lunghissimo persino elencarle tutte). Il pubblico comunque è a suo modo ugualmente un responsabile primario, anche se qualche piccola attenuante ce l’ha, nel senso che ormai da troppo tempo, si fa poco o niente – istituzionalmente parlando – non solo per mantenere attiva l’abitudine a frequentare le sale ma anche per crearne uno nuovo bacino d’utenza consapevolmente interessato (e motivato ) a confrontarsi con proposte che offrano qualcosa di meno ovvio e “consumato”. A questo si aggiungono anche gli scarsi finanziamenti messi a disposizione per la scena, ora che anche i classici “impresari” di una volta sono ormai diventati latitanti (ed è molto difficile fare del buon teatro solo con la forza delle idee se poi non si hanno i mezzi per poterle realizzare).

Mario-Martone-Noi-Credevamo-Portraits-67th-7LQMJAXT-xWlDa appassionata anche di cinema e serie tv noto che nel nostro paese (ma pure in quel di Hollywood a dire il vero) si ha paura di lanciare nuove idee, nuovi autori e nuovi attori. Forse sono i produttori lungimiranti e coraggiosi che mancano o sbaglio?

Sono da troppo tempo fuori dal sistema per poter dire con esattezza come e perché stanno così le cose, ma l’impressione è proprio quella da te espressa: la paura, il non voler rischiare. Si preferisce allora di gran lunga andare sul sicuro per tentare di scongiurare possibili fallimenti (che spesso arrivano lo stesso). Qualche proposta interessante oltre che dal teatro sperimentale, arriva dai teatri Stabili (ma anche loro purtroppo adesso non navigano più in acque sufficientemente sicure). Cinematograficamente parlando non va certamente meglio, visto che ormai il duopolio produttivo/economico è esclusivo appannaggio di Medusa (Mediaset) e della Rai, e da lì si deve passare giocoforza. Però è anche un gatto che morde la propria coda perché se non c’è più il rischio d’impresa dei privati come accadeva una volta, è soprattutto a causa dell’assenza ormai congenita di un pubblico pagante sufficiente a far quadrare i bilanci (e, paradossalmente, potrebbe anche essere che il pubblico pagante sia diventato “disertore” perché si è stufato di spendere dei soldi per vedere sempre le stesse cose).

Cosa consiglieresti ad un giovane autore di talento per riuscire a sfondare?

Di non desistere. Di non lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà. Di provare insomma a perseguire il suo obiettivo sperando che prima o poi qualcuno si accorga del suo talento e lo metta nella condizione di dimostrarlo. Di cominciare a farsi le ossa anche con piccole occasioni che lo tengano in esercizio provando magari ad entrare in qualche gruppo secondario o sperimentale anche se no questo non garantisce il sostentamento (da supportare con altre prestazioni più collaterali, ma certamente maggiormente remunerative per mantenersi economicamente non disdegnando nemmeno quelle del doppiaggio).

 –So che anche tu sei appassionato di cinema quanto me.C’è qualche regista nuovo che ti ispira molto? So che apprezzi molto il mitico cinema d’antan…

viscontiSì, amo molto il cinema d’antan anche perché ci trovo dietro una solida base preparativa che è partita spesso dal teatro a rendermelo così affascinante (Welles, Kazan o Visconti sono da soli ottimi esempi di come da “regista”, si può diventare dei magnifici talenti “interdisciplinari” capaci di eccellere in ogni settore toccato: cinema, teatro di prosa, teatro lirico). Si può essere però eccellenti anche se si preferisce operare in un solo campo, e qui ci sono maggiori esempi che abbiamo tutti sotto gli occhi (sia nel passato che nel presente). I nomi che potrei fare sarebbero dunque moltissimi (in campo cinematografico ci sono molte positive “esuberanze” che rendono la settima arte in perpetuo movimento creativo, così come nel teatro d’avanguardia che è sempre in movimento non in quello ingessato della tradizione) Per proseguire nel solco della multidisciplinarità, qui in Italia il nome che mi viene subito in mente (e che io apprezzo in modo particolare) è quello di Mario Martone.

Eduardo-De-FilippoEduardo de Filippo è stato un grande drammaturgo del secolo precedente, trattando attraverso l’ironia , tematiche sociali molti complesse, cosa ne pensi di questa tipologia di teatro che attraverso l’ironia ci presenta problemi molto complessi della quotidianità sociale ?

Eduardo de Filippo è stato indubbiamente uno dei più grandi autori del teatro italiano. Per quel che mi riguarda, il suo è un teatro che apprezzo molto ma che non rientra fra quelli che prediligo (nel senso che mi piace guardarlo quando è fatto bene – cosa anche questa sempre più rara – ma non mi sarebbe mai venuto in mente di metterlo in scena come regista perché pur essendo una meravigliosa forma di intrattenimento “pensante”, lo è più per la scrittura e la recitazione che per la regia: è l’interpretazione- oltre alle tematiche trattate – ad essere fondamentale e di conseguenza la regia diventa un supporto solo secondario, mi viene da dire, utile solo per dare uniformità alle azioni, e poco più). Ecco un’altra cosa importante che manca al teatro di adesso: un drammaturgo (e un interprete) di analoga pregnanza.

Altro grande maestro del teatro è stato Luigi Pirandello; ti sei mai ispirato a una delle sue commedie o hai mai trattato le sue stesse tematiche ?

Luigi-Pirandello

Luigi Pirandello è l’altro indiscusso “mostro sacro” del nostro ‘900 teatrale (adesso anche troppo abusato e spesso con mediocri produzioni lontane dal rendere giustizia ai suoi testi così stratificati). Nel trasformarlo sempre più spesso in un autore buono per tutte le stagioni, si rischia insomma di annacquare la carica rivoluzionaria delle sue invenzioni e di ammazzarlo nella routine più vieta. Salvo alcuni testi non certo minori, ma più tradizionali (Penso a “Liolà”, a “L’uomo dal fiore in bocca” o a Lumie di Sicilia) quelli più problematici della maturità hanno indiscutibilmente bisogno di un’idea forte di regia come lo fu a suo tempo quella di Gassman per “Stasera si recita a soggetto”, quella delle memorabili rappresentazioni dirette da De Lullo (“Sei personaggi in cerca d’autore”, “Il gioco delle parti” o “Così è se vi pare”) o il saggio d’autore realizzato da Ronconi qualche stagione partendo nuovamente da i “Sei Personaggi”. Lo ritengo insomma un autore da trattare con molta più prudenza e circoscrizione, anche se purtroppo credo che si continuerà ad abusarne. I miei contatti con la sua difficilissima scrittura (da mettere in scena degnamente, non per altre ragioni) sono stati non solo sporadici, ma anche molto limitati che potrei quasi definirli marginali: sono stato assistente alla regia (di Alberto Gagnarli) per una produzione relativa al suo attoo unico“All’uscita” che debuttò a Bratislava e fu riproposto successivamente in Toscana, e ho poi realizzato la regia (ma non in forma scenica, bensì come radiodramma andato poi in onda su Radio Libera Firenze) di un altro atto unico, “La morsa”che ottenne buoni ascolti.

Ecco ,ho così risposto a tutte le domande: spero di averlo fatto fornendo adeguate argomentazione (e mi auguro di non essere stato troppo prolisso). Ringrazio per questa preziosissima occasione che mi hai offerto e mi auguro che il mio contributo ti sia tornato di una qualche utilità.

A presto allora e di nuovo grazie.

Valerio

Grazie a te.

Un caro saluto!

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Silvia Azzaroli

Sono una Scrittrice perché quando scrivo mi sento viva e posso visitare nuovi mondi e nuove terre;

Il mio motto è:
"Siamo universi dentro altri universi." (Ho Sognato Babilonia)

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Amo la Fantascienza, che per me è il genere per eccellenza ma apprezzo anche i Noir, i Romanzi storici, i Saggi e il Fantasy;

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Amo il Cinema la cosiddetta settima arte.

L'elenco dei film preferiti sarebbe infinito posso solo dire che amo tanto il cinema indipendente che i kolossal, basta che mi lascino qualcosa di positivo dentro l'anima e il cervello;

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