Giornata Internazionale della Felicità

Vedere lontano, pur mantenendo lo sguardo fisso al presente, è dote non da tutti. Ha un che di profetico, è anticipo di futuro ma con i piedi ben piantati nel momento in atto. Rimanere attuali, nonostante almeno duemilatrecento anni sulle spalle, è dote per ancora meno persone e richiede una tempra che si forgia con la giusta mescolanza di concretezza e versatilità. L’autore del Tao Te Ching, uno dei testi base del pensiero taoista, rientra a pieno titolo in entrambe le categorie.

“Tralascia la carità e ripudia la giustizia ed il popolo tornerà alla pietà filiale e alla clemenza
paterna.”

Esistono massime come questa che più che capacità logica o interpretativa richiedono una minima dote da acrobata. Il punto di vista da cui è necessario osservarle non è quello d’uomini comuni, ma è invece piuttosto simile a quello del trapezista. A testa in giù. Anche perché non c’è nessun altro metodo d’interpretazione, nessun’altra scorciatoia, le altre strade conducono all’errore.
L’invito a tralasciare carità e giustizia è tutt’altro che letterale. È invece la constatazione, amara, che quanto più si parla di giustizia e carità più si è lontani da essa, poiché non esisterebbero molteplici richiami ad esse se già fossero generosamente presenti tra le persone.
Essere venuta a conoscenza che esiste, da quattro anni a questa parte, una Giornata della Felicità istituita dall’Assemblea Generale dell’ONU, per me è stato come ricevere la massima del Tao Te Ching in pieno volto, più simile ad un sonoro schiaffo che ad una carezza.

“L’Assemblea generale […] consapevole che la ricerca della felicità è un scopo fondamentale dell’umanità […] decide di proclamare il 20 marzo la Giornata Internazionale della Felicità, invita tutti gli stati membri […]a celebrare la ricorrenza.”

felicitàInsomma, al latino “memento mori” si aggiunge il politically correct del “ricordati di essere felice”. Evidentemente i motivi per non esserlo sembrano così tanti che la felicità è quasi un nodo da mettere al fazzoletto, una giornata da celebrare per migliorare lo sviluppo, la crescita economica ed il benessere, tramite attività di consapevolezza pubblica. A ben pensarci è un risvolto decisamente tragico che ha ben poco di felice, almeno secondo il mio personale modo di percepire il fatto. Ricordarci di essere felici, d’in tanto in tanto, perché nel resto del tempo avremo mille motivi per non esserlo.
Tante volte ci perdiamo in domande di contorno, volte non tanto a sapere qualcosa in più dal nostro interlocutore, ma piuttosto da usare come trampolino solo per poter dire poi la nostra opinione. È la drammaticità della mancanza di ascolto cui troppo spesso assistiamo, sia come spettatori che come protagonisti principali.
Oppure ci perdiamo in domande inutili, che si limitano a sfiorare la superficie dell’altro, senza mai scendere in profondità, sia mai che ne invadiamo la privacy o ci addentriamo in questioni troppo spinose.
Come stai?
Dove sei stato?
È andata bene?
Questioni di rito, da ascoltare per un attimo e poi dimenticare, oppure inizi di discorsi più particolari che si possono tramutare in dialoghi fecondi.
Eppure c’è una domanda molto rara, o quasi unica, che quasi mai viene posta.

Sei felice?

Non lo chiediamo quasi mai.

Paura di turbare l’interlocutore, di ricevere una risposta negativa, positiva…?
Mi venne posta quasi sette anni fa, per la prima ed unica volta. Avevo lasciato la mia piccola cittadina per trasferirmi nella capitale, il cammino che mi attendeva era un’avventura con ancora molte incognite ed un traguardo sognato solo in punta di dita, per paura di vederlo svanire nel caso avessi osato troppo sperarci.
Sei felice?
Non riguarda ciò che abbiamo, cos’abbiamo fatto.
Riguarda ciò che siamo.
Non a caso la felicità è uno stato che chiede il verbo essere e mai l’avere: ha il suo ausiliare di riferimento non per mera regola grammaticale, ma perché è legata al nostro essere, a prescindere da tutto l’avere che possediamo o di cui manchiamo.
Per essere individuata in noi stessi la felicità chiede uno sguardo che è un leggero battito d’ali. Non cavillosi ragionamenti, non confronti, ma un sì semplice ed immediato, che sale alle labbra quasi senza pensarci.2012_05_4_15_11_30-300x225
Non è sempre facile, non tutti i momenti della vita sono adatti ad una domanda del genere, anzi, ve ne saranno alcuni in cui la felicità giocherà al più feroce dei nascondini, rifiutando di farsi trovare o anche solo intravedere per regalare un po’ di sana speranza.

Sei felice?
Chiediamolo e chiediamocelo un po’ più spesso, fosse anche per aggiornare un po’ lo sguardo su noi stessi e su chi ci sta vicino. Forse verranno momenti, dopo aver imparato meglio a sfiorare con delicatezza ciò che siamo noi e ciò che sono gli altri, in cui non avremo più bisogno di chiedere perché saremo diventati capaci di comprenderlo e più attenti ai bisogni di chi ci circonda.

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