La forma della voce – Naoko Yamada -Recensione

 

“ La forma della voce ” è un lungometraggio d’animazione giapponese del 2016 diretto da Naoko Yamada, scevro da quei cliché farciti di finti buonismi e sprovvisto di stratagemmi didascalici: centotrenta minuti che non si traducono in un agglomerato di stereotipi furbeschi.

L’adattamento anime del manga A silent voice di Yoshitoki Oima consta di una narrazione tanto poetica quanto struggente, altresì di potenti sguardi che conducono gradualmente a una comprensione pregna di emotività, che esula da quella che si potrebbe definire “generosità forzata”. La vita è un boomerang e il male fatto, nel caso della vicenda narrata, torna indietro per poi collocarsi all’interno di un processo evolutivo degno di nota.
Shoko Nishimiya è una ragazzina sordomuta di undici anni, che giunge nella sua nuova scuola ad Ogaki, nella prefettura di Gifu. Comunica con i suoi compagni attraverso un quaderno, ma ben presto diviene vittima di atti di bullismo, in particolar modo da parte di Shoya Ishida, il quale rompe più volte i suoi costosi dispositivi acustici. Conseguentemente la protagonista viene trasferita in una scuola specializzata, mentre Shoya viene additato quale unico colpevole e preso di mira dai compagni. Cinque anni dopo, pentito e in preda ai sensi di colpa il ragazzo, dopo aver tentato il suicidio, cerca Nishimiya nella speranza di potersi scusare.

“Oltre” credo sia la parola chiave: oltre i pregiudizi e l’ignoranza, ma soprattutto oltre l’apparenza. Tra i due ex compagni di classe si instaura progressivamente un rapporto che va oltre la “soddisfazione personale” e il “senso di colpa” di Shoya. Si è obbligati a non sostare in superficie, a scavare in profondità e interrogarsi riguardo le dietrologie inerenti taluni modi di agire; al contempo, si è piacevolmente succubi di interessanti spunti di riflessione inerenti le dinamiche relazionali.
“Secondo te qual è la definizione di amico? Quello che voglio dire è come si ottiene il diritto di essere amico di qualcuno? Ci sono forse dei requisiti?” (T. N.)

Shoya non è una persona cattiva…
“Da domani ascolterò attentamente tutte le voci. Da domani mi comporterò bene Nishimiya. Quella ferita te l’ho fatta io. Mi sono mai scusato come avrei dovuto? […] avrei dovuto chiederle cosa pensava di me dopo tutto quello che ho fatto e comunque Nishimiya tu lo sai.” (Shoya Ishida)
Shoya non è individuo maligno e man mano sembra crearsi una sinergia tra lo spettatore e un personaggio sempre più avido di umanità, il quale affronta una battaglia costellata di debolezze ed esperienze pregresse negative che si alterano in occasioni per migliorarsi, per redimersi.
Si tratta anzitutto di un percorso di crescita, di un cammino in cui si sceglie di imboccare la strada del perdono. E d’un tratto le x che contrassegnano i volti anonimi delle persone, da lui reputate poco interessanti, crollano.



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