Intervista a Susanna Bavaresco per “Mutazioni del silenzio”

Oggi intervistiamo la fotografa e scrittrice Susanna Bavaresco, che di recente ha allestito una mostra intitolata “Mutazioni del Silenzio” a Genova.

Iniziamo con le domande di Renato Sacco

Sei soddisfatta della mostra fotografica appena svolta?
Più che soddisfatta…sono felice. Era la mia prima mostra personale e pubblica: non sapevo come sarebbe stata accolta, invece i visitatori hanno compreso perfettamente sia il mio amore per la fotografia sia soprattutto il mio modo di vedere quello che mi circonda.Piume_072Riyueren silver web

Con quale scatto rappresenteresti la società attuale?
Per motivi di privacy non fotografo la gente, ma se potessi farlo….sceglierei di fotografare le persone mentre stanno insieme… ciascuno trafficando sul proprio telefonino, magari al ristorante. Il massimo dell’incomunicabilità e dell’indifferenza. Se invece ti riferisci ad uno scatto già “pronto”… ne avrei una serie intera, senza le persone, ovviamente, per i motivi detti prima, ma ti assicuro che è come se ci fossero.

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Le Mutazioni del silenzio sono scatti che evidenziano le tue parole trasformate in immagini, da blogger a fotoreporter, anche se il blogger che è in te esce fuori nel momento stesso in cui descrivi a parole i tuoi scatti. C’è uno scatto senza parole che però può rappresentare tutto?
Credo di dover chiarire alcuni punti. Mutazioni del Silenzio è il mio blogfoto: la mia prima mostra pubblica non poteva non avere quello stesso titolo. Ogni blog è un diario in rete, ma è pur sempre un diario, anche se pubblico. “Mutazioni” è un diario in immagini, molto intimo ma esposto agli occhi di tutti. I miei reportage non sono che resoconti di viaggi interiori e in questo senso ogni singolo scatto rappresenta, pur raffigurando il mondo esterno, la parte più profonda di me. Ripeto, ogni singolo scatto rappresenta tutto, per me. A volte le parole nascono prima, a volte dopo. Ma anche quando non si vedono materialmente scritte…ci sono sempre.

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Siamo abituati a guardare le foto come immagini immobili: qual è la tua foto più movimentata anche se immobile?
Ecco, non mi è facile risponderti: il motivo è che per quel che mi riguarda le immagini non sono immobili, io non riesco a vederle così. Per me in ogni immagine c’è movimento: io ci vedo il passato, il presente e anche il futuro. No, le immagini non sono ferme: la loro immobilità è solo apparenza. Quindi, paradossalmente, potrei dire che le immagini apparentemente più immobili di tutte, come per esempio quelle scattate alle statue nei cimiteri (soggetto che amo moltissimo) sono le più movimentate, per me.

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Preferisci rappresentare la realtà a colori o il mistico in bianco e nero o viceversa?
Se per mistico intendi il sacro, lo spirituale (non in senso strettamente religioso) tutti i miei scatti lo riguardano, perché il mio modo di “vedere” è così. Mi sento sempre più parte di un tutto. Dico sempre che a colori è “come io vedo” (a modo mio, naturalmente) ma in bianco e nero è “come io sento”. Con la fotocamera digitale si può benissimo scattare direttamente in bianco e nero, ma viene una vera schifezza, per cui preferisco scattare a colori e convertire successivamente in bianco e nero. Ci sono scatti che devono rimanere a colori, altri che acquistano un senso, una forma, con il bianco e nero. So sempre fin da prima ancora dello scatto se sarà in bianco e nero o resterà a colori. Perché? perché è il soggetto che me lo “dice” prima.

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Preferisci fotografare i pensieri o scriverli?
Certamente fotografare il pensiero è più stimolante, perché è molto più facile trovare le parole alle proprie sensazioni ed emozioni che racchiudere tutto in un’immagine. Ad ogni modo le fotografie sono parole nascoste e viceversa, per me.

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Si riesce a descrivere meglio un evento con una foto o con un articolo?
Trattandosi di un evento, io propendo per un reportage: foto e parole.

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Secondo te, la foto del bambino tunisino morto sulla spiaggia finito sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, basta a descrivere la guerra in Siria?
Forse non basterà a descrivere la guerra in Siria (dovrebbe bastare per farla finire, ma purtroppo…) o l’orrore di ogni guerra ma di sicuro è sufficiente a far capire dove stiamo andando, come esseri umani: non finirà bene, il nostro viaggio. A questo punto mi vengono in mente le parole di Gilardi “Non fotografare…”e prego e spero che nessuno abbia intascato soldi da quella foto.

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Una foto può immortalare un suono, una voce, una melodia?
Una foto è suono, è voce, è melodia… magari non nel senso letterale che intendiamo noi. Nelle immagini ci sono voci, suoni e melodie che non si ascoltano con le orecchie. Io sono abituata ad ascoltare con gli occhi, anche perché da diverso tempo sono ipoacusica. Ora che anche i miei occhi hanno dei problemi (una distrofia corneale) ho capito che si ascolta e si vede solo con il cuore.

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A quando la tua prossima esposizione?
Tra non molto, il 7 e l’8 maggio prossimi.
Dove?
A Morro d’Alba, in provincia di Ancona, per le Giornate di Fotografia curate da Simona Guerra e Lisa Calabrese.

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Quale sarà l’argomento principale?
Si trattava del bando di selezione “Fotografia e scrittura: esperienze a confronto”.Su 48 lavori pervenuti da tutta Italia ne sono stati selezionati 12 per una conferenza sul tema e tra i selezionati tre andranno anche in mostra nella prestigiosa cripta di Santa Teleucania. Io sono stata ammessa anche alla mostra con “Calligrafie d’anima”: è una serie che raccoglie fotografie che ritraggono realmente segni, scritture di luci che s’imprimono sui volti a segnare percorsi di memoria, riflessi sull’acqua, dove sempre e comunque le ombre non sono che luci spezzate, calligrafie di voli, segni e disegni di scrittura “altra” , nel senso di non umana, dove lo sguardo si libera al di là del senso, del significato… accoglie insieme, e abbraccia, anche la parola scritta che nella poesia, soprattutto se essenzialmente breve, come lo sguardo dell’haiku, si fa occhio e visione, affacciandosi sulle immagini e accompagnando il mio viaggio dall’interno all’esterno e viceversa, in uno scambio continuo come tra l’onda e la riva del mare. Il progetto si compone di 17 dittici, a sinistra immagine, a destra cartoncino nero (stesse dimensioni, entrambi in formato quadrato uniti da uno stesso passepartout, ) dove ho scritto a mano con gel bianco altrettanti haiku, più un dittico formato da due cartoncini neri con dedica (chi mi conosce bene sa a chi posso aver dedicato un lavoro che parla di anima) e alcune riflessioni su fotografia e poesia.

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Domande di Silvia Azzaroli:

Sono affascinata dal fatto che hai iniziato scrivendo e poi hai deciso di fare delle foto, dopo aver visto che le immagini integravano meglio i testi nel blog. Hai mai pensato di scrivere un romanzo basandoti su delle foto che hai fatto? E se sì, quali foto in particolare?
Ho iniziato scrivendo perché la scrittura è sempre stata una cosa che amavo sin da bambina, forse per il mio modo di essere allora, timida e solitaria. La fotografia mi piaceva sin da ragazza, ma allora lavorare in analogico costava troppo, per me, quindi mi limitavo a scattare poche foto, un po’ di più quando mio figlio era piccolo. Poi quando lui è cresciuto ho smesso di fare anche quelle: ho ripreso nel 2008, appunto, per via del blog, con una compatta digitale. Non mi piaceva vedere il template tutto solo scritto, mi sembrava che le foto in un certo senso lo “completassero”, naturalmente foto in sintonia con le parole. Così è cominciato tutto. Non saprei scrivere un romanzo, sono più per i testi brevi, anche perché per me è più facile ricordare cose brevi: io “scrivo” nella mia mente e quindi sarebbe impossibile ricordare interi capitoli. Amo la poesia, non saprei inventare delle trame, dei personaggi… ho scritto dei racconti, qualcuno è anche sul blog. Vorrei scrivere qualcosa su Mir, il mio piccolo amico pettirosso, che per tre inverni mi ha tenuto compagnia tutti i giorni nel boschetto sotto casa e allora sì, penso che utilizzerei le foto che gli ho scattato: in pratica tu immagina quante foto possono essere, lo incontravo anche tre volte al giorno tutti i giorni per diversi mesi e quasi sempre avevo con me la fotocamera.

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Hai detto che le foto sono le parole non dette e le parole sono immagini scritte, è un concetto molto intrigante. È da questo che deriva il titolo della mostra “Mutazioni del Silenzio”?
Il titolo della mostra fotografica deriva da quello del mio blogfoto che a sua volta deriva da quello di un racconto che però non ho mai pubblicato nel web. “Mutazioni” del silenzio, così come esistono le mutazioni genetiche: quello che è il mio silenzio, la mia solitudine, alla fine si è trasformato in qualcosa d’altro: parole scritte, fotografie.

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Sai, mi hai fatto pensare ad un film, “Il grande silenzio” del 2005, che parla di un gruppo di frati che hanno fatto appunto un voto del silenzio. Quanto è importante il silenzio per poter fotografare e scrivere bene? Oppure preferisci lavorare con la musica? E se sì, con che tipi di musica?
Un film di cui avevo sentito parlare e che purtroppo non sono riuscita a vedere. Il silenzio è importante, per me, moltissimo. Non mi riferisco al silenzio come viene inteso comunemente, il silenzio che intendo io è un qualcosa di soprattutto interiore, non saprei descrivertelo con le parole, ma credo che se guardi bene le mie foto lo trovi in ognuna. Se dovessi provare a descrivertelo con le parole…potrei usare termini come consapevolezza, meditazione, vuoto, apertura…io le riassumo tutte nella parola silenzio. Una volta che hai dentro questo silenzio allora puoi anche avere attorno a te dei suoni oppure emetterli tu. Spesso fotografo cantando, specialmente quando sono in luoghi dove non c’è nessuno e ancora più spesso e volentieri canto dentro di me, a volte me ne accorgo dopo un po’ che scatto. A volte ascolto musica: Enya, Garbarek (In Praise of dreams) Bach (Variazioni Goldberg, Suites per violoncello), dipende dal tipo di foto e da come mi sento io in quel momento, mentre postproduco le foto (scatto sempre in raw, per cui devo sempre fare un minimo di post produzione, specialmente quando converto in bianco e nero). Il più delle volte, però, preferisco il silenzio.

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